Veronica Raimo: “Niente di vero” – Einaudi
So che scatenerò l’ira funesta se non del Pelide Achille, quanto meno di tutti coloro che ricercano in un romanzo situazioni tragiche, lacrimevoli e, magari, anche molto complicate da capire, però, in compagnia dei miei neuroncini, ho trovato in questo libro una boccata d’aria fresca.
Finalmente qualcosa che ti fa sorridere nella sua serietà della descrizione, fatta in quel tono amichevole della prima persona, di una famiglia un po’ disfunzionale nella quale Veronica, o Oca come la chiama suo padre, viene a trovarsi e a scontrarsi.
C’è una madre che riesce sempre a trovarti ovunque tu sia anche prima della nascita dei cellulari e c’è un padre con la mania dell’igiene e la fissazione di costruire muri in un appartamento di 60 metri quadri (senza bidet).
Ha un fratello con in quale condivide la noia: e infatti
Abbiamo passato l’infanzia chiusi dentro casa a romperci le palle.
Era un’attività talmente intensa che presto divenne una posa esistenziale.
Sapevamo annoiarci come nessun altro.
Ora, le pagine di questo romanzo sono stracolme di ricordi, ricordi che ci fanno sorridere, perché, oltre ad essere proposti con una prosa scorrevole e immediata, fanno rinascere in noi situazioni analoghe, se non identiche, della nostra vita passata, tra infanzia e adolescenza.
Chi non ha mai avuto una madre oppressiva, un padre un po’ strano e un fratello complice? (anche se non in questo ordine). Chi non ha mai sognato una fuga, chi non ha mai avuto vacanze tanto attese e immediatamente rovinate, chi fidanzati e/o fidanzate apparsi e subito scomparsi e, magari, nei momenti sbagliati.
Tanto si soffriva allora quanto si ride oggi, e Veronica ci dimostra che si può sopravvivere ed arrivare “ad una certa età” sorridendo del passato senza superficialità e trasformandolo in una specie di commedia dove una storia personale sia legata e, forse, nasca dagli atteggiamenti, dalle parole e dai caratteri di altre persone.
L’autrice inserisce con grande naturalezza piccole frasi e gesti che si ripetono lungo le pagine e che caratterizzano chi le pronuncia: “Siamo al paradosso” (il padre), “C’è Francesca al telefono” (con le amiche per qualunque cosa da evitare), oppure la nonna che con le tazzine da caffè appoggiate al petto di Veronica la fa notare la minima e triste quantità di seno e amici e parenti che regalano tutine da neonato a lei che non è intenzionata ad avere figli.
Dopo aver letto il libro ci si accorge subito che la smorfia della ragazza in copertina è emblematica: ride?, piange?, si nasconde?
Riporto una frase trovata in una recensione: “Un bel libro che … c’è Francesca al telefono”
Paolo Bassi