Ipsa historia repetit

Giuseppe Ripamonti, cronista della peste di Milano del 1630, fonte principale per la stesura dei Promessi Sposi manzoniani, così scriveva: «Io penso che, tra le molte e disgraziate cause che hanno innescato il contagio, nessun’altra contribuì ad accrescerlo più dell’ostinazione della plebe a negarlo, insultando con sberleffi, minacce e insulti chiunque ne profferisse il nome. E tale follia non aveva preso piede solo tra la plebe, ma anche tra alcuni medici, i quali, quando un appestato mostrava loro i bubboni ed il gonfiore inguinale invocando un rimedio, se la ridevano di quei segnali inequivocabili di peste, chiamandoli, dopo interminabili diatribe, effetti di sfrenata libidine.» Quando poi l’epidemia dilagò, anche a seguito dell’assembramento determinatosi con la processione delle reliquie di S. Carlo, e non poté più essere negata, si cominciò a parlare di un complotto ordito dai “poteri forti” e perseguito da spietati “untori”: «I governanti della Città, incapaci di trovare un rimedio per risolvere quella drammatica situazione, commentavano tra loro ciò che il volgo ignorante andava sostenendo e formulavano ipotesi su quale principe o re straniero avesse potuto chiamare l’inferno in suo aiuto e scatenare la furia dei demoni.» Secondo il presbitero Ripamonti l’unico, in quell’oceano di follia, ad assumere comportamenti sensati fu il cardinale Federico Borromeo, vescovo di Milano.

Yersinia pestis, l’agente patogeno della peste, venne isolato solo nel 1894, ma che quella patologia avesse un’eziologia biotica, o -quanto meno- un andamento epidemico, era noto da tempo. L’epidemiologo Michael Bracken ricorda che in una tavoletta cuneiforme del 1400 a.C., ove si descrive un’epidemia di peste scoppiata tra prigionieri, viene chiaramente sottolineata la natura contagiosa del morbo: non c’era ovviamente la percezione di come avvenisse il contagio, precisa l’assiriologo Robert Biggs; prassi corrente, tuttavia, era l’isolamento dell’ammalato (contumacia).

Nel secondo millennio a.C. si faceva già, dunque, profilassi: diretta (la contumacia, appunto) e indiretta (smaltimento dei rifiuti, azioni di bonifica, interventi educativi di ordine igienico-sanitario), anche se l’attenzione era concentrata, quasi esclusivamente, sull’intervento terapeutico.

Nel terzo millennio d.C. ci siamo resi conto di quanto sia preferibile, anche per ragioni economiche e sociali, prevenire l’insorgere di una malattia piuttosto che curarla. Concettualmente, la profilassi indiretta moderna non differisce molto da quella assiro-babilonese; è quella diretta che fa la differenza: oggi esistono i vaccini!

Un certificato dei Conservatori di Sanità della città di Massa, datato 22 agosto 1720, attestava che tal Giovanni Bernardo, di anni 37, proveniente da Napoli, dopo un periodo di “quarantena” trascorso a Massa non manifestava segni di peste. Un altro certificato dei Provisores Saluti della città di Tergeste (Trieste), datato 15 giugno 1733, garantiva che la Città era «sana, Iddio lodato, da sospetto di mal contagioso [peste]», sicché i quattro uomini imbarcati su un «tartanoncino» potevano considerarsi immuni dal morbo. Si tratta di certificati che funzionavano un po’ come il green pass post-tampone: oggi sei sano, domani chissà…

Il vero salto di qualità si ebbe con l’introduzione della vaccino-profilassi. Nel 1768, in poche settimane, a Napoli morirono di vaiolo decine di migliaia di persone e il re Ferdinando I vide spegnersi, in pochi anni, due promesse spose (Maria Giovanna e Maria Giuseppina d’Asburgo-Lorena) e il figlio primogenito Carlo Tito, erede al trono. Preoccupato per i tanti morti e per la successione al regno, nel marzo del 1778 chiese al medico pisano Angelo Maria Gatti di essere vaccinato e ordinò di vaccinare anche moglie e figli. Più tardi, visti gli ottimi risultati ottenuti, Ferdinando rese la vaccinazione obbligatoria per tutti i bambini: il Regno di Napoli fu così, gradualmente, liberato dal vaiolo. Ma i sospetti non si fermarono e lo scetticismo imperò a lungo, tant’è che il torinese Massimo d’Azeglio, governatore della provincia di Milano, in una lettera giunse a scrivere: «La fusione coi napoletani mi fa paura: è come mettersi a letto con un vaiuoloso!»

Si deve al coraggio di Ferdinando I di Borbone e dei napoletani, però, se nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha potuto ufficialmente dichiarare eradicato il vaiolo dal nostro pianeta.

La storia si ripete: paura, sospetto, scetticismo, sfiducia condizionano i nostri comportamenti, ieri come oggi. È questa la palude in cui, faticosamente, procede la scienza.

 

Riccardo della Ricca

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