Chimamanda Ngozi Adichie: “Americanah” – Einaudi

 

Ifemelu è la protagonista di queste 500 pagine che, non lo nascondo, durante la lettura mi hanno un po’ spaventato. Comunque non ho desistito.

Ci troviamo in un’America, tra gli anni Novanta e il Duemila, dove Ifemelu e tanti come lei devono affrontare il problema del colore della pelle.

Sì, il razzismo la fa da padrone, ma anche la miseria e con essa la precarietà della vita, non scherzano per nulla.

Oggi la parola razzismo sta assumendo significati sempre più ampi rischiando di diventare, a volte, una specie di giustificazione nei riguardi di certi atteggiamenti, e non mi riferisco solo alle violenze fisiche messe lì in bella mostra su giornali e media, ma, e soprattutto, alla subdola violenza psicologica che nasce e sfocia nella discriminazione dell’uno nei riguardi dell’altro.

Ifemelu non è di famiglia ricca, (tutt’altro), e quando il padre viene licenziato e perde il suo impiego statale, all’affitto di casa per due anni, ci penserà la zia Uju, amante del “Generale”, persona volgare e non certo rispettabile e in netto contrasto con gli ideali ed il pensiero di Ifemelu.

Comunque, grazie a una borsa di studio si aprono per lei le porte dell’agognata America; porte che però nascondono problemi e situazioni che mai si sarebbe aspettata.

Parliamoci chiaro: Ifemelu è una nera, e come tale, avrà sempre uno svantaggio in più rispetto a chi ha il colore opposto al suo.

Bellissimo e significativo è il momento in cui l’autrice descrive le sei ore che Ifemelu passa dal parrucchiere per farsi fare le “treccine che tengono in ordine i capelli crespi delle donne nere”, mentre la zia Uju le scioglie e si stira la chioma per presentarsi ai colloqui di lavoro.

“Ma come fa Michelle Obama?” si chiede Ifemelu “sarebbe ugualmente ben accetta se avesse un’acconciatura afro?”.

La trama, comunque, spazia in moltissime direzioni che qui, anche per le dimensioni del romanzo, non è il caso di approfondire: basti ricordare il suo seguitissimo blog Razzabuglio, le amicizie, le avventure e la sua storia d’amore con Obinze.

Quest’ultima, in modo particolare, mi è parsa trattata in modo un po’ superficiale, quando inizialmente e pure nel finale lasciava presagire qualcosa di più “movimentato” (se mi passate il termine).

Ebbene, questa ragazza, a un certo punto della sua esistenza decide per una svolta importante e coraggiosa, lasciando la sua Nigeria e gli affetti più cari per terminare gli studi negli USA e, forse, per cercare quel famoso “qualcosa in più” nella terra promessa; poi, quando tutto sembra essersi sistemato nel migliore dei modi, ecco, assesta un altro colpo alla sua esistenza.

Lascia tutto e torna in Nigeria da “Americanah”.

(Il significato di questo termine lo scoprirete leggendo il libro … non posso dirvi tutto io)

 

Paolo Bassi

 

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