Storia ed arte di una chiesa frugale:

Nostra Signora della Fiducia al Villaggio Due Madonne

 

Nella periferia sud-est del capoluogo emiliano-romagnolo, sorge un piccolo agglomerato urbano dall’aspetto ordinato e squadrato, secondo il tipico stile anni Sessanta del secolo scorso, al centro del quale si staglia una grande piazza in cui domina un edificio di culto essenziale, solido come i rossi mattoni, a vista, con cui è stato costruito: è la chiesa parrocchiale di Nostra Signora della Fiducia.

La storia alquanto recente, del Villaggio Due Madonne e della sua parrocchia, è una storia di rinnovamento, di solidarietà e attività comunitaria, ma oggi, ci narra anche dell’arte presente nel proprio edificio di culto, quanto del passaggio di eccellenze memorabili per la cultura ecclesiastica del Novecento, come il Cardinal Lercaro che ordinò la fondazione della chiesa o ancora, il Cardinal Giacomo Biffi, nel 1988, fino a don Oreste Benzi, nell’ anno 2007.

Il contesto comunitario formatosi, nel tempo, attorno alla Parrocchia di Nostra Signora  della Fiducia, ebbe origine proprio con la nascita del Villaggio Due Madonne, nel  1956,  grazie ad un progetto  voluto dalla INA Casa, un piano statale d’intervento strutturale nazionale, per l’edilizia sia pubblica  che privata,  ideato dal ministro  del  Lavoro,  Amintore Fanfani, tra il 1949 e il 1963, piano che divenne storico  per la sua imponenza, poiché modificò l’assetto territoriale del paese trasformando vastissime  campagne incolte, in quartieri e centri abitati, disponibili per la popolazione reduce  dalle distruzioni della seconda guerra mondiale.

In effetti, proprio a partire dal 1958, cominciarono ad insediarsi le prime famiglie a cui erano state assegnate le abitazioni; si trattava per lo più, di nuclei d’ impiegati statali provenienti da tutte le parti   d’Italia, molti dei quali emigrati dal sud. A questi si unirono gruppi familiari formati da artigiani e lavoratori. Si costituì, perciò, un abitato composto soprattutto, da dignitose famiglie di modesta estrazione ma furono proprio loro il perno che permise, nel corso degli anni, di rifondare le radici economiche e sociali dell’Italia, dopo le tragedie della guerra; dal punto di vista storico/sociale, indubbiamente, una   nota di   merito va al ministro dell’epoca.

Di certo, non è degna di merito la sproporzione con cui, negli anni del boom economico, si portarono avanti migliaia di   progetti edilizi sfrenati, sprezzanti  dell’ambiente,  disattenti verso la qualità della vita, tanto  che  nel  nuovo millennio, assistiamo  alla presenza di interi quartieri  dormitorio,  di  palazzoni  dall’estetica  di  dubbio valore,   che paiono alveari, privi  di strutture ricettive e aree verdi, poco  vivibili, così come appaiono nelle periferie di molte città italiane, soprattutto nel  sud.

Ma tale non è il Villaggio  Due Madonne.

In pochi sanno che quello stile sobrio che caratterizza il   suo comparto edilizio, fu elaborato da uno studio dettagliato e piuttosto costoso di un gruppo di progettisti tra cui un noto architetto   romano, Luigi  Vagnetti, che realizzò varie opere rilevanti  tra cui la Cappella della U.D.A.C.I  nella capitale (1957) e  la sede  della Banca d’Italia a Cremona (1955).

Purtroppo, il piano per il complesso parrocchiale studiato dal Vagnetti, risultò di gran lunga oneroso per la comunità.

Il progetto piuttosto ambizioso dell’architetto, prevedeva un complesso di strutture murarie composto dalla chiesa parrocchiale, dal battistero a pianta  ottagonale, una cappella per l’Eucarestia da adibire anche a chiesa feriale,  una sacrestia; ma prevedeva, pure, una sala di  ricezione con oltre quattrocento posti e per finire, un cavalcavia che collegasse la canonica con  il resto  delle opere parrocchiali.

In sintesi, doveva sorgere una sorta di piccolo complesso  religioso  e aggregativo, posto nel cuore del  più ampio complesso  rionale.

I numerosi parroci  succedutisi nel corso  dei decenni, si  sforzarono  alacremente, con l’aiuto  della  comunità, per riuscire a concretizzare il progetto, almeno in parte; addirittura, qualcuno si indebitò ma  si  ottemperò agli impegni  grazie  anche all’aiuto  dei parrocchiani, alle collette. Si dovette, comunque, rinunciare al battistero, al  cavalcavia, alla cappella dell’Eucarestia e alla sala spettacolo da quattrocento  posti che, però, fu  ricavata  lo stesso sebbene  in dimensioni più ridotte, nell’area interrata, sotto la chiesa e la provvidenza consentì, pure, di  realizzarvi una piccola palestra.

I primi ad imbarcarsi nell’avventura di creare  una nuova  comunità parrocchiale  al  Villaggio, furono i Missionari  O.M.I. (Oblati  Milizia dell’Immacolata): correva l’ anno  1958.

Il 7 ottobre del 1962, Lercaro pose la prima pietra simbolica di edificazione e in attesa che partissero i lavori (attesa che però si  prolungò per ben  dieci  anni), venne posizionato un piccolo prefabbricato  dove si  celebrarono le  funzioni, matrimoni, cresime, prime comunioni e tutte le attività di  culto ufficiale.

Tali furono, dunque, gli esordi: umili e discreti ma pieni di  fiducia  e alacrità.

Nel corso  del tempo la comunità   crebbe e si  sviluppò realizzando  moltissime  iniziative,  non solo religiose ma  anche sociali  e culturali, tanto che dopo   sessant’anni dalla posa della sua prima pietra, l’edificio  ecclesiastico  si  è arricchito di  opere d’arte di ragguardevole valore estetico, create da  noti  artisti d’eccellenza, come il maestro  ceramista Angelo Biancini e l’ artista iperspazialista, Luisa Bergamini oltre che  da brillanti scultori  come  l’altoatesino Goffredo  Moroder il quale nel  1996, su  commissione  dell’allora parroco Mario Amedeo,   realizzò la  statua lignea del  santo francese, Eugenio di  Mazenod,  capostipite  della Congregazione dei Missionari Oblati (1816), padri  fondatori  della parrocchia.

Il ritratto del santo lo si ritrova anche nella sacrestia, in una  delle vetrate finemente lavorate su  plexiglass, dal  religioso mosaicista, Padre Paolo D’Errico,   che ha realizzato  anche i motivi a tessere colorate, delle finestre nella chiesa feriale  e la lunetta posta sopra al  tabernacolo, con la scena sacra dell’Ultima  Cena.

All’interno della chiesa festiva si può ammirare una pregevole riproduzione della Madonna col Bambino  del  Rossellino, realizzata in terracotta dalla bolognese Sara Berti   e  alcune icone in stile  tipico  bizantino, della  carrarese Mary Gabriele Trifirò  ideatrice,  pure, del  tabernacolo in argento,  per il quale la forgiatura a sbalzo venne commissionata al  noto orafo bolognese, Scanabissi.

Anche il ritratto della Madonna della Fiducia, emblema portante della sede di culto  del  Villaggio  Due Madonne, ha una storia curiosa che rispecchia fedelmente, la natura e il significato  di umiltà e sobrietà caratterizzante la vita   parrocchiale: infatti l’immagine della Vergine  col Bambino  venne  consegnata il 21 settembre 1957, quando  la comunità prese  il via e  perciò, si  riuniva ancora nel piccolo prefabbricato.

Si trattava di un’umile stampa tratta da una copia dell’originale dipinto settecentesco, realizzato per il convento delle clarisse di San Francesco a Todi, ma la comunità   accettò felicemente, il dono.

Si dovette attendere il 1972 perché i parroco di allora,  riuscisse a commissionare   ad un  parrocchiano  pittore, Giovanni Salvadore, un bel  dipinto che producesse l’immagine originale della Madonna della Fiducia corredata da una ricca cornice lignea dorata e rifinita in argento,  da un altro  volenteroso parrocchiano e  artigiano del  legno, Livio Balletti.

Al noto maestro ceramista Angelo Biancini, si devono invece, la splendida e modernissima statua della Madonna col Bambino posta a monumento, nella grande parete sull’ altare maggiore della chiesa festiva  e i quattro  evangelisti policromi, nella facciata esterna  della chiesa.

Le dimensioni del bassorilievo  raffigurante la Vergine sono notevoli: più di   quattro metri d’altezza ed è contornata da una ricca  decorazione a scacchiera con i simboli del Cristianesimo delle origini. La vivacità cromatica è davvero interessante come pure lo stile asciutto, essenziale, tipico  dello scultore romagnolo il quale sempre nella vita, si  servì delle sue cospicue nozioni espressioniste, intrise di   quei caratteri dell’avanguardia novecentesca, da cui passarono gli artisti innovatori, dal  dopoguerra in poi.

Le quattro grandi ceramiche raffiguranti i santi  evangelisti Matteo, Marco,  Luca e  Giovanni, spiccano già ad ampia  distanza, sullo scarno  muro  in mattoni rossi, della  facciata e invitano al raccoglimento oltre che  al rispetto per il luogo in cui si  sta per entrare; domina, infatti, un’ austera  essenzialità,  tipica dello stile scultoreo paleocristiano a cui importava non tanto,  la mera estetica  artistica  quanto  la volontà di  comunicare  il messaggio cristico.

Angelo Biancini, fu un importante  maestro   della ceramica faentina e  le sue opere costellano numerosi  luoghi monumentali  e museali  sia in Italia  che all’estero, come ad esempio i Musei  Vaticani, a Roma. E’ certamente un vanto per la comunità  bolognese del Villaggio Due  Madonne, essere custode di opere dell’artista che le  realizzò  e istallò nell’anno 1974, con l’ausilio del progettista del comparto  residenziale e parrocchiale, l’architetto  Vagnetti.

Nell’area  interna  principale  della chiesa sono presenti ulteriori  opere  monocrome, di  pregevole valore stilistico: il grande pannello dedicato all’opera missionaria  degli Oblati, Evangelizare pauperibus misit me  e le  quattordici  Stazioni  della  Via Crucis,  dell’ artista  Luisa Bergamini, nota per le sue opere concettuali  esposte  in   mostre come la Biennale di Venezia o presenti in  collezioni sia pubbliche che private  come la Fondazione Lercaro, La Biblioteca Centrale Nazionale  di  Firenze ed  altri  importanti enti istituzionali.

Il pannello, di ampie dimensioni, fu  ideato  ed eseguito  nel 1996, per omaggiare Sant’Eugenio di  Mazenod e la sua  opera  di  missione nel mondo con gli Oblati di  Maria Immacolata; il lavoro venne realizzato utilizzando un materiale  inconsueto, la vetroresina, allo scopo di creare figure in bassorilievo, scavandole, quasi  estraendole, dalla materia leggera, plasmabile con uno scalpellino pneumatico ma nel  contempo,  resa resistente,  non scalfibile dal  tempo o dagli urti, attraverso  un sistema inusuale  nelle le opere d’arte ma solitamente adibito  per  impermeabilizzare le imbarcazioni: infatti il pannello fu  inviato dall’artista,  presso  un cantiere atto a tale, specifico, trattamento.

Allora azzardiamo  un aggancio  alla  simbologia:  quella di una barca leggera ma che sa reggere i colpi, che ci  salva  come la piccola imbarcazione con cui  Gesù  protesse gli apostoli sulle acque  del  lago    Genesaret, placando  il vento e  la tempesta.

La scena scolpita, ci mostra una  anonima quanto  misera stirpe umana  che invoca la carità del  Signore mentre  porta,  con fede, la  croce  del mondo; una catena d’ amore  prende il via   dalla missione di un   fratello verso il  fratello  e  si espande in tutta la terra, grazie  alla fiducia  nell’insegnamento  del  Padre, attraverso il sacrificio del  Figlio, simboleggiato  dal  grande crocifisso.

Il messaggio dell’artista è chiaro: non si può prescindere dalla carità  e dalla parola  di  Gesù se si  mira, davvero,  a sconfiggere  la fame  terrena  e  quella spirituale.

Le quattordici  Stazioni  della Via Crucis  sono dislocate lungo  le colonne che compongono la navata centrale della  chiesa e  sono anch’esse, monocromatiche proprio  per sottolineare ancora una volta, un concetto di sintesi, di  semplicità e unità   del  messaggio che l’artista vuole trasmettere alla comunità,   integrando  tutte  le sue  opere d’arte  al contesto  architettonico dell’edificio sacro, scarno e  privo d’orpelli,  che  le deve contenere.

La  realizzazione  della Via Crucis  è antecedente al grande pannello in vetroresina:  essa infatti, risale  al  1990  e fu ideata  su  richiesta del parroco di  allora,  poiché la chiesa ne era ancora priva  ma  la comunità  possedeva  modeste risorse economiche.

La generosità e l’impegno dell’artista non si fecero attendere e dopo molti mesi di studio e lavoro, Luisa Bergamini  plasmò, una per una,  le  quattordici tappe  del travaglio cristico prima  di  giungere al Golgota.

Una raffigurazione sintetica, silente, statica, in cui  poche linee a rilievo  su di  un anonimo fondo in   cemento, racchiudono  tutta la l’intensità della narrazione evangelica, con il suo dramma,  trafigge l’occhio di  chi osserva e pian piano,   coglie i dettagli, coglie il  lento movimento   dei personaggi  che emergono,  poco  a poco, dalle pieghe scolpite nella cruda materia; personaggi senza volto,  anonimi come   coloro  che prendono su  di  sé  la propria croce e  s’incamminano per le vie  del mondo.

La frugale Nostra Signora della Fiducia a sessant’anni dalla posa della sua prima e simbolica, pietra, nonostante il tempo l’abbia  adornata  con la  sobria bellezza di una vera e propria   collezione di opere d’arte, conserva   intatta  quella   peculiare semplicità  che  la   gente  comune percepisce  vicina  a sé:  nota non trascurabile in un’epoca  che cambia repentinamente e perde  di  vista l’ umiltà, un valore  che sarà sempre  una pietra  angolare  della dottrina di Cristo.

 

Anna Rita Delucca (19 luglio 2022)

Alcune fonti di studio:

  1. Guerzoni, Parrocchia di Nostra Signora della Fiducia.50 anni di vita comunitaria, DG edizioni, Bologna,2007

Fallani, Mariani, Mascherpa, Collezione vaticana d’arte religiosa moderna, Milano, Silvana Editoriale d’arte, 1974

 

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