L’ Attesa e il Crocefisso nell’ arte di  Giorgio Morandi e di  William G. Congdon

Riguardo  al pittore  americano William G. Congdon,  lo studioso  Massimo Recalcati   scrive:* “…I suoi crocifissi  non riflettono tanto la gloria  della resurrezione che verrà, quanto l’intensità della lacerazione e della sofferenza…come abitare il tempo vuoto e sospeso del  ‘sabato della storia’?**…Nel  lavoro  di  Congdon come per Morandi, il riferimento alla figura non viene mai meno. Nondimeno entrambi si liberano del riferimento alla realtà umana. L’uno privilegiando le nature morte l’altro la croce”.

Lo psicologo Recalcati mette a confronto lo still life morandiano con il Crocefisso   (tema  assai ricorrente nei dipinti  di W.G.Congdon) ma vi  è pure un identico  rapporto fra la tragicità della croce e il silenzio regnante nei  paesaggi  di Giorgio Morandi, soprattutto quelli dell’Appennino, dei  territori  di  Grizzana e della collina bolognese.

Nelle sue opere di paesaggio, infatti, come nelle nature morte, ogni soggetto raffigurato riprende i canoni della ‘melancolia’ del vivere, la solitudine dell’essere umano, la  vanitas vanitatis,  totale  vacuità delle faccende mondane, da sempre raffigurata anche nelle nature morte dei  secoli passati.

 Quanto restiamo su questa terra? Un soffio, soltanto, rispetto all’eternità, eppure viviamo come se non dovessimo mai congedarci dal mondo.

Nella nostra generazione contemporanea, la morte è un qualcosa che di solito, percepiamo come sinistro eppure la morte non è altro che lo specchio della vita.

Il concetto d’inizio e fine dell’esistenza, è un elemento del  tutto inseribile ed inserito  nella natura stessa delle cose. Eppure   il nostro essere non  lo percepisce come  tale, anzi  spesso  lo rifugge con tutte le sue  forze, tentando  di  allontanarne da sé, l’inesorabilità, anche con atteggiamenti  teneramente  ingenui, come gli sforzi  immani, per conservare un aspetto  sano e giovane, a volte fino allo stremo; una sorta di scongiuro per allontanare il più possibile da noi, lo spettro  della fine.

Altre volte, ossessionati  dal   terrore di perdere la sanità del  corpo a causa di  malattie, ci  affanniamo a cercare soluzioni, elisir  o sieri che ci  rassicurino, perché il terrore di  non esserci più da un momento  all’altro, ci  attanaglia ed atterrisce.

Il silenzio  del  Crocefisso  di  Congdon esprime una drammaticità  disarmante poiché nella sua opera, la croce è  testimonianza di  sofferenza: è la sofferenza  del mondo, di  tutte le epoche, della storia.

 Il tema dei crocifissi nel celebre artista statunitense, ricorre a livello seriale: la sua produzione  conta più di  duecento lavori con   questo  tipo di  soggetto.

Alla stessa  stregua, si  collocano i lavori pittorici del  grande maestro italiano, Giorgio Morandi, tutti eseguiti -paesaggi e nature morte- attraverso il rigore di una struttura  iconografica essenziale.

Rigore ed essenzalità costituiscono il punto focale e l’obiettivo dell’artista bolognese, per la narrazione delle sue  composizioni pittoriche.

Il risultato che entrambi raggiungono- del tutto autonomamente, poiché non risulta ch’essi   si fossero mai neppure conosciuti-è quello di  una visione  ‘oltre la materia’ che si  serve della materia stessa -il colore e il pennello- per  superarla, per  andare oltre  il tangibile, attraverso il medium dell’arte.

In tal modo, Congdon approda  ad una percezione  dello spirituale che si  compie soltanto  attraverso  il sacrificio del mondo, come passaggio obbligato che conduce ad una purificazione la quale, però,  deve  percorrere  un necessario cammino di  sofferenza.

Morandi invece, giunge alla  consapevolezza  che il sacrificio  ci  pone di  fronte alla melancolia  del  vivere da cui, comunque, si  può trovar riparo  rifugiandosi   nel  silenzio   della natura, nella semplicità del  condurre la propria esistenza ma soprattutto, nell’  umiltà che l’artista riflette ed esalta,  proprio raffigurando l’ umiltà degli oggetti  da lui ritratti ossessivamente, in maniera seriale: non è, infatti, un caso se  centinaia di  opere morandiane riproducono bottiglie polverose, fiori  appassiti, paesaggi  silenti   con  monotoni filari  di piante o anonimi muri  di  anonime case, immersi dentro  atmosfere statiche, fuori  dal  tempo.

William G. Congdon nacque a Providence  nel 1912 ma dopo aver trascorso  lunghi anni in varie parti  del mondo  si  stabilì in Italia  dove,  nel  1959, ad Assisi si  convertì  al  cristianesimo cattolico.

I viaggi però continuarono  quasi  come  ricerca spasmodica, di una essenza superiore che fosse comune tra le varie culture  sparse per il globo.

Dal 1979 visse in una cascina, nel  milanese,  accanto  ad un monastero  benedettino  e vi restò fino al 1998, anno della sua morte.

Congdon ha lasciato un patrimonio artistico straordinario, a testimoniare il multiculturalismo dei  territori  da lui frequentati e contemporaneamente, quella intensa ricerca di spiritualità, sempre presente in ogni popolo,  seppure in forme diverse di  religiosità  o differenti  filosofie di  vita.

Ma la sua scelta di realizzarsi  come cattolico, rimane legata indelebilmente, alla sua esperienza di  ricerca sul  vero senso   della vita umana: la fatidica domanda sul “perché si  soffre?” egli la pone a se stesso,   indagandovi spasmodicamente; la risposta è nel  crocifisso, nel momento  dell’estremo sacrificio d’espiazione  che l’uomo deve compiere per superare se stesso e i propri limiti, i propri errori, le proprie passioni insane, che lo trattengono nel peso della sua realtà fisica, ‘finita’ e circoscritta e non gli consentono  di librare lo spirito,   ‘oltre ‘ il peso  della sua materialità, della sua corporeità  che lo trattiene gravitazionalmente.

Gesù, con il proprio sacrificio dà l’esempio della via da seguire e Congdon  rappresenta tutta la drammaticità dello scotto  da pagare.

Giorgio  Morandi   nacque a Bologna nel  1890 e   al contrario di  Congdon, mai  si  spostò dalla sua terra  se non in  rarissime  occasioni.  Ma egli fu  un viaggiatore  dell’ anima, attraverso  la sua ricerca continua, di  oltrepassare la realtà materiale, per giungere ad un’ idea d’ infinito che riuscì,   egregiamente, a trasporre nelle  opere pittoriche.

Non soltanto  nello   still life ma pure, nella rappresentazione  del paesaggio collinare  grizzanese, sull’Appennino tosco-emiliano,  dotato di natura rude ma bellissima,  nella sua  spontanea e silvestre  realtà.

Una visione mistica e profonda della vita, meditata ma non pessimistica, una visione che va oltre il mondo  materiale attraverso  la percezione dell’essenza  delle cose; anche le  più piccole ed umili particelle che compongono la materia, hanno un’ anima, una loro essenza silenziosa, percepibile,  soltanto, ponendo ad esse un’attenzione speciale.

E’ l’essenza e il valore  delle piccole cose, quelle meno  eclatanti, poco spettacolari, ma che ci  rassicurano, perché sono il valore  delle cose quotidiane che stanno silenziosamente ed umilmente,  sempre accanto  noi.

Morandi visse un’esistenza piuttosto abitudinaria, quasi ‘monacale’, nella sua casa di  Bologna, in via Fondazza 36, trascorrendo le  estati  sulla collina dove, nell’ultimo periodo  della vita (morì nel  1964), edificò una dimora per sé e le sue tre sorelle.

Insegnava   Incisione  e nel  tempo libero  dipingeva. Ma ciò non gli impedì di restare sempre a contatto  con i fermenti  intellettuali e culturali  che caratterizzarono la storia moderna  del Novecento,  non gli  impedì di  esplorare le più importanti  correnti artistiche tra la prima e la seconda guerra mondiale -e successivamente le avanguardie-  tanto  che alcuni suoi lavori  furono richiesti per scene cinematografiche di  celebri registi,  come Michelangelo Antonioni.

La famiglia del pittore bolognese,  era di  fede cattolica, come si vede dalle immagini sacre  ancora oggi presenti  nella casa- museo  dell’artista, a Grizzana Morandi, tuttora visitabile e  guarnita  ancora, di arredi e suppellettili originali;  è conservata così come la lasciò l’ultima  sorella del maestro,  Maria  Teresa, quando, alla propria  morte nel  1994, donò la casa-museo   al  Comune di  Grizzana perché la conservasse intatta, in memoria  del  fratello artista.

 

In questo  luogo  si respira ancora oggi,  la poetica morandiana, il silenzio e la meditazione ch’egli praticò con un’ innata sacralità, quella sacralità  che l’artista seppe far risorgere da vecchie e ormai  inservibili bottiglie, per trasmigrarla sulla tela, donando un intimo  senso  di  attesa,   anelante verso  una   vita  nuova , ‘oltre’ il presente, ‘oltre’ il qui ed ora.

Un chiaro  segnale che la vita dello spirito, nonostante tutto, continua  al di là   della malinconia    che regna nel nostro  limitato,  mondo tangibile.

Anna Rita Delucca, 20  febbraio 2022

Fonti  di  studio

*Il Cristo  che interessa a Congdon…,pp.140, B.Mondadori, 2007

**Il sabato  della storiariferimento  al  volume di W.g. Congdon e J. Ratzinger “Il sabato  della storia” FIUA, Jaca Book spa,Mi ,1998

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